Raccolgo in questo post una serie di miei commenti pubblicati da agosto a dicembre 2011.
Rileggendoli mi rendo conto di quanto sia stato grave aver convissuto negli anni passati con problemi economici e politici di tale portata, senza trovare il coraggio di affrontarli.
E' la cronaca di una rincorsa affannosa e a tratti disperata, che non è ancora finita.
Con l'auspicio che i prossimi lascino più spazio alla ricostruzione e alla speranza.
18 agosto 2011 - UN’EUROPA con POCHE
IDEE
Le
attese per il vertice Merkel - Sarkozy erano elevate, si poteva immaginare un
passo importante verso il rafforzamento dell'area Euro, in grado di bloccare
definitivamente la crisi dei debiti sovrani europei.
E
invece ancora nulla, se non un altro comitato, che si riunirà ben due volte
l'anno! Ancora rinviata sine die una decisione sugli Eurobond, probabilmente
l'unica soluzione per stabilizzare i debiti degli Stati: si continua ad evitare
di approfondire le soluzioni che, limitando ad esempio la quota di debito
coperta da Eurobond al 60 %, per esempio, eviterebbero di accollare ai paesi
meno indebitati gli oneri dei meno virtuosi.
Se
quanto dichiarato è tutto ciò che i due leader hanno deciso c'è poco da illudersi
anche sulla capacità dei paesi più forti di trainare la crescita europea: chi
s'era illuso che la Germania potesse essere la locomotiva e la Francia il
baluardo della tripla A ha dovuto in una settimana ricredersi. Ciascuno per sè
quindi, bacchettate e qualche aiuto a Spagna e Italia e un'aria generale di
disimpegno.
Se
qualcuno pensava ad una guida europea illuminante e a un podestà straniero per
l'Italia, dovrà scartare questa soluzione: dalle secche dovremo uscire da soli,
con le nostre forze. Se sbaglieremo o saremo lenti forse non avremo un'altra
chance, ad oggi è più probabile che l'Eurocouncil lavori per regolare l'uscita
di un paese dell'Euro che per rafforzare la coesione delle politiche monetarie
e fiscali.
Mettiamo
rapidamente le toppe più urgenti ad una manovra iniqua e incompleta, ma nei
prossimi tre mesi dovremo dare alla luce le riforme troppo a lungo rinviate:
fiscale, previdenziale e istituzionale. Per fare ripartire la crescita in
Italia serve soprattutto ricreare uno spirito di fiducia tra i cittadini, che
solo l'equità dei provvedimenti ed una larga condivisione tra le forze
politiche e sociali può consentire.
Non
illudiamoci che le due manovre estive siano sufficienti, siamo e rimaniamo sul
filo del rasoio e potremmo precipitare nel baratro in qualunque momento, da qui
a due anni.
25 agosto 2011 - QUALI EUROBOND? E
PER QUALE POLITICA?
Pare
che stia cadendo il veto franco-tedesco sugli Eurobond, ed è un bene. Oltre che
per ragioni contingenti di difesa dei debiti sovrani, rappresentano la naturale
evoluzione dell'Euro ed un passo importante verso l'integrazione dell'Europa
monetaria. E in questa fase di crisi di fiducia nei confronti del debito USA,
sarebbero una novità probabilmente gradita dai mercati.
Ma
quando parliamo di Eurobond, cosa intendiamo esattamente? E come intendiamo
utilizzarli?
La lettera di Prodi e Quadrio Curzio al Sole 24 Ore pubblicata lo scorso 23
agosto (link) ha il pregio di fare il punto sulle proposte in campo e di
aggiungerne una quarta, sicuramente degna di considerazione. Inoltre, mentre
altre proposte hanno per lo più un intento difensivo, questa tenta di coniugare
propositi di stabilizzazione e di sviluppo. Rimette quindi al centro la
politica, troppo assente da questo dibattito, apparentemente destinato alle
stanze dei tecnici.
La
proposta dei nostri economisti si colloca a tutti gli effetti nell'alveo degli
interventi di stampo keynesiano, che dovrebbero garantire lo sviluppo
attraverso investimenti pubblici (in infrastrutture nel caso specifico).
Cedendo le riserve auree delle banche centrali nazionali a fronte dell'impegno
ad acquistare debito, gli Stati completerebbero un percorso di cessione della
sovranità monetaria all'Europa, in cambio di un aiuto più efficace in caso di
difficoltà a collocare il proprio debito. Ma è l'altro tipo di garanzia che
mostra la vera natura della proposta: le quote delle grandi società di
rilevanza nazionale (operanti per lo più nell'energia e nelle infrastrutture)
diverrebbero così difficilmente cedibili, con la scusa di difenderle dalla
speculazione. Pare quasi il preludio di una grande IRI europea, che potrebbe
non dispiacere a molti governanti.
L'utilizzo
dell'effetto leva sul Fondo così costituito (da riserve auree più
partecipazioni) aumenterebbe inoltre il debito complessivo dell'Eurozona, pur
riducendo quello dei singoli Stati. L'effetto è quindi un aumento
dell'intermediazione pubblica nell'economia europea, a prezzo di un
indebitamento ulteriormente crescente, che toglierebbe ogni speranza di una
politica fiscale meno penalizzante di quelle attuali.
Il
pregio della proposta è di essere ancorata ad una proposta politica, ma è
questa la politica più adatta per rafforzare l'Eurozona?
E
davvero basterebbe a stabilizzare il debito degli Stati? Per questo secondo
obiettivo non sarebbe più efficace emettere Eurobond ed impiegarli per
acquistare corrispondenti emissioni di debito degli Stati, riservate
all'agenzia europea emittente, a tasso identico a quello degli Eurobond, fino a
concorrenza del 60% del PIL di ciascun Paese, indipendentemente da situazioni
di difficoltà o meno? Gli Eurobond sarebbero garantiti solidalmente da tutti i
Paesi dell'Eurozona, potendo anche contare su risorse specifiche del bilancio
UE e da una sorta di privilegio sulle entrate fiscali degli Stati.
In
questo modo i Paesi virtuosi avrebbero zero o poco debito proprio da emettere,
se escludiamo le emissioni "tecniche" riservate all'emittente
europea. Gli altri avrebbero quote più o meno alte di debito da sopportare e
tendenzialmente da azzerare, dovendo sopportare oneri finanziari che
impediscono la riduzione delle imposte, ma in quantità molto più limitate
rispetto al PIL e senza indebolire le garanzie. Potrebbero anche cedere quote
di società partecipate, a questo scopo.
Quanto
agli investimenti in infrastrutture, i vincoli non sono tanto di natura
finanziaria quanto politica: project financing e/o project bond servirebbero
molto meglio allo scopo. Il problema è riuscire a superare il localismo e gli
interessi particolari (vedi i corridoi ferroviari e stradali, ma anche gli
oleodotti).
Ciò
che davvero preoccupa (e preoccupa molto i mercati finanziari) è il nanismo
politico dei governanti europei, spaventati di perdere consenso e condizionati
da troppi interessi particolari. Dicano con chiarezza come vorrebbero che
fossero la UE e l'Eurozona, i tecnici per realizzare il disegno non mancheranno.
31 agosto 2011 - INCERTA.
IMMOBILISTA. INGIUSTA = DEPRESSIVA
E
pensare che doveva servire a rassicurare i mercati. Questa manovra, che si
avvia alla terza stesura, e chi sa se sarà l'ultima, si è nutrita di tutto e
del suo contrario, comunicando l'assoluta incertezza del Governo nel dettare le
priorità e nel creare il consenso intorno ai provvedimenti, pur riconosciuti
necessari da una larghissima parte degli italiani.
Il risultato è che tutti si sentono minacciati e privi di fiducia nel futuro
prossimo.
Pur toccando tutti gli argomenti dello scibile economico finanziario (e
lasciando anche spazio alla fantasia di nuove improbabili imposte), i
provvedimenti hanno una linea di fondo: evitare accuratamente di affrontare in
modo strutturale i gravi problemi del Paese. Sembra che l'unico obiettivo del
Governo sia arrivare al 2013, costi quel che costi. E costa tanto, perché
mantenere il consenso tra le diverse anime del PdL e la Lega ha come
conseguenza l'immobilismo. Manovra "da conta-fagioli"? Almeno quelli
farebbero quadrare i saldi.
In
compenso si dissemina il cammino di bombe che poi qualcuno dovrà disinnescare.
Come 20 anni fa, quando si compì l'opera del mostruoso debito pubblico che oggi
ci affligge.
Senza vere riforme è inevitabile che i provvedimenti siano ingiusti, in
particolare quando toccano il mondo del lavoro e delle imprese. Si doveva fare
una manovra tutta di tagli alle spese pubbliche improduttive, a partire
dagli acquisti della PA per proseguire con le Province.
E invece, tirando graffi a casaccio sul fisco, la previdenza e le imprese
cooperative, si genererà sfiducia e depressione.
Perché
il cuore del nostro problema è il lavoro. Già oggi abbiamo circa mezzo milione
di disoccupati tra i 15 ed i 24 anni. Circa altrettanti giovani si affacceranno
al mondo del lavoro nei prossimi 5 anni. Nel medesimo periodo dovevano andare
in pensione circa un milione di lavoratori e dovremo snellire l'apparato
pubblico. È evidente che senza crescita, rinviando soltanto il pensionamento,
si crea una situazione esplosiva, che sta già innescando una spirale di
decrescita dei consumi. Servirebbe massima flessibilità, invece, nell'uscita
dal lavoro come già c'è in entrata, salvaguardando i contributi realmente
versati. E servirebbero incentivi a reinvestire gli utili e capitalizzare le
aziende: invece di penalizzare le cooperative occorrerebbe estendere alle altre
imprese il principio che conviene reinvestire invece che distribuire i
profitti. Ma sto parlando di riforme articolate, per le quali servirebbero
coraggio, idee chiare e senso di giustizia. Un altro film, quindi.
23 settembre 2011 - DOPO LA NOTTE
RIPRENDEREMO LA CRESCITA?
Siamo
in piena notte, a fari spenti.
Alla
guida un uomo che, come altri imprenditori, si rifiuta di alzare le mani dal
volante, convinto di essere l'unico in grado di guidare quell'auto. Così
muoiono o si degradano irreparabilmente molte aziende; così accadrà al suo
partito. E purtroppo anche l'Italia faticherà a rialzarsi.
Ma
in questa notte insonne non si può non pensare al dopo. Perché, con o senza un
guidatore folle, l'Italia deve capire se può e vuole riprendere la via della
crescita.
Le riserve di valore inespresso esistono e se adeguatamente sfruttate possono
riavviare in poco tempo un ciclo virtuoso.
1)
Tecnologie e
applicazioni di rete. E' un contesto iper-competitivo e non abbiamo grandi
imprese nazionali. Ma nella Silicon Valley si parla anche italiano e chi la
frequenta sa che là "ognuno ha una start-up". Può accadere anche da
noi, i cervelli non mancano, la creatività neppure, le grandi aziende
internazionali sono presenti in modo qualificato. Serve coraggio, fiducia e
capitali di rischio per iniziare. Finanziando le persone, i giovani, prima delle
aziende.
2)
Turismo. Pare
un'ovvietà, ma è ancora l'enorme riserva di valore di mezza Italia,
specialmente meridionale. Ed è incredibile che non si riesca a sviluppare e
promuovere un'offerta competitiva rispetto ad altri paesi, mediterranei e non.
3)
Alimentazione
italiana. In tutto il mondo la cucina italiana ha una diffusione spettacolare,
ma i nostri prodotti e la nostra ristorazione di qualità non altrettanto.
Uno sviluppo accelerato in questi tre settori potrebbe garantire una crescita
di 2-3 punti di PIL all'anno, per diversi anni. Sono settori ad alta intensità
di occupazione (almeno i primi due), in particolare giovanile.
Tutti
gli altri settori, dal made in Italy nella moda e nell'arredamento, alla
meccanica e ai servizi in generale, possono in larga parte resistere senza
perdere volumi ed aumentando la produttività.
Con
idee chiare, serietà e rapidità d'intervento potremmo ripartire in fretta.
28 settembre 2011 – 120 MILIONI da
RISPARMIARE in DUE ANNI NON SONO POCHI
120
milioni da risparmiare in due anni non sono pochi, nemmeno per un Comune grande
come Bologna.
La
manovra colpisce duramente gli Enti locali, anche quelli definiti virtuosi, e
suscita proteste comprensibili, specialmente se si confronta tanto rigore con
la timidezza dei tagli operati al livello centrale di governo.
Ma
il "modello Bologna" è davvero virtuoso? Un modello di gestione
centralizzata dei servizi, che ha creato una macchina ipertrofica e poco
flessibile, è sostenibile?
Da cittadino bolognese dico: ben vengano i tagli, se serviranno a trasformare
questo modello di servizi in una collaborazione basata sulla sussidiarietà.
Il caso più eclatante è quello delle scuole dell'infanzia, nelle quali il
privato assicura uguale qualità a costi inferiori di un terzo.
Ma
anche nell'housing sociale esistono realtà (come la cooperazione a proprietà
indivisa) in grado di coprire le esigenze con grande efficienza.
Per
non parlare di tante istituzioni e associazioni operanti nel settore culturale
e in quello assistenziale, anche benemerite ma fino ad ora poco orientate a
finanziarsi con contributi privati, iniziative e servizi a pagamento.
Non
è più sostenibile un modello in cui il Comune gestisce direttamente troppi
servizi o paga le attività a piè di lista. Occorre intelligenza e professionalità
per finanziare iniziative autenticamente utili. In questo senso credo che vada
letta anche la disponibilità di alcune Associazioni imprenditoriali: non hanno
"tesoretti" da consegnare al Comune perché continui a sostenere un
modello anacronistico, ma risorse con destinazione specifica, frutto di un
lungimirante sistema bilaterale, che possono finanziare collettivamente
l'accesso ai servizi, erogati a prezzi di mercato.
Sono
conscio del fatto che una tale trasformazione richiederà qualche tempo. E
allora chiedo al Sindaco Merola e alla sua Giunta di utilizzare la tassazione
addizionale che la manovra concede per finanziare questa transizione. Due anni
di addizionale Irpef straordinaria, senza proroghe.
Sarebbe
un bel risultato ed una lezione di serietà per tanti amministratori, centrali e
locali.
25 ottobre 2011 - DODICI CONDONI
DODICI
Dodici
come gli apostoli, come le porte della città celeste. Si sente la mano
evocatrice e visionaria che anima le saghe tremontiane nell'ipotesi dei
"dodici condoni", ma a leggerne i titoli la realtà è banalmente
burocratica.
È
lo spaccato della complessità e dell'inefficienza della macchina fiscale
italiana, sommersa dalle mille norme, dagli errori di contribuenti e fisco e
dall'irrilevanza dei controlli: un ottimo pagliaio nel quale occultare le
evasioni vere.
Macchina
che andrebbe profondamente riformata, senza attendere i diktat europei. Forse i
"dodici condoni dodici" non appariranno al supermarket dell'ennesima
manovra, ma con o senza di essi il fisco italiano rimarrà una delle palle al
piede che frenano la crescita.
Non dico nella realtà, non chiedo tanto, ma almeno nelle bozze un barlume di
credibilità e serietà potevano metterlo.
4 novembre 2011 – PROGETTI IN CRISI
Questa
mattina sono dovuto intervenire nella gestione di un progetto aziendale che
incontra molte difficoltà: ho sostituito il project manager, che non riusciva a
produrre un piano credibile, con responsabilità e tempi certi. Le difficoltà,
che pure sono solo in piccola parte dipendenti dalla nostra azienda, non
facevano che aumentare e le carenze del piano davano a tutti un alibi perfetto
per non assumersi responsabilità.
Ho
chiamato i soci di maggioranza e minoranza, ho raccontato la situazione senza
nascondere le difficoltà, abbiamo deciso insieme come sostituire il project
manager.
Cose
di tutti i giorni nelle aziende, ma quando in difficoltà c'è un Paese
grande come l'Italia, le preoccupazioni e le complessità sono di dimensioni ben
diverse. Però il parallelo aiuta a comprendere problemi e soluzioni.
Quando
Tremonti (il nostro project manager nel difficile mare dell'economia) ha
mostrato di essere in difficoltà nel produrre un piano credibile per uscire
dalla morsa dell'alto debito e della bassa crescita, Berlusconi
(l'Amministratore Delegato, che mi perdonerà l'irriverenza del paragone con lo
scrivente) ha deciso in sostanza di prendere il suo posto, senza peraltro
rimuoverlo dall'incarico. Ha parlato solo con la Lega ed una parte del PdL (i
soci di maggioranza), senza considerare tutti gli altri (l'altra parte del Pdl
e la minoranza), senza la necessaria trasparenza verso gli italiani e le
autorità europee.
Nemmeno
lui riesce a fare un piano credibile, nonostante l'architetto (la BCE) gli
abbia inviato un progetto abbastanza dettagliato (che è altra cosa da un
piano).
Quindi
ora anche lui è parte del problema e non può più trovare la soluzione.
Per
me salvare il progetto è vitale. Se sbaglio tutto ciò di buono che ho fatto
prima non varrà nulla e il mio futuro in azienda sarà compromesso.
Pensi
solo a questa crisi, Presidente, non al prima né al dopo. Chieda a tutti i soci
di nominare un nuovo amministratore delegato ed un nuovo project manager, che
godano di una fiducia largamente condivisa. Un amministratore delegato al quale
possa trasmettere ciò che rimane della sua visione e dei suoi obiettivi, un
project manager che sappia fare i piani, non guardi in faccia a nessuno e non
perda tempo.
Uscire
dall'emergenza è più semplice di quanto non sembri. Poi, tra un anno, un nuovo
governo potrà affrontare - da pari a pari con gli altri grandi Paesi europei -
i veri problemi che pongono nubi nere sul futuro del nostro continente. Quelli
per i quali nessuno ancora riesce ad immaginare le soluzioni.
9 novembre 2011 - QUANDO NON SI
CAPISCE LA CRISI
"La
crisi non si sente in Italia, i ristoranti sono pieni".
Esattamente
ciò di cui i tedeschi ci accusano: diamo l'idea di essere i pirati che ballano
e bevono intorno alla cassa del morto.
Le
città tedesche nel 2001 e ancor di più nel 2008 erano piene di negozi chiusi,
alla sera sembrava ci fosse il coprifuoco. Risparmiando, investendo nelle
aziende, accettando riduzioni temporanee dei salari, puntando sull'export i
tedeschi si sono ripresi. E si domandano perché da noi non debba mai arrivare
il giorno dei sacrifici.
La
realtà è che l'Italia è un Paese con un terziario più forte di quello tedesco.
Se Berlusconi avesse detto "i ristoranti di Roma, Venezia, Firenze, delle
Langhe e del Chianti sono pieni di stranieri e stiamo lavorando perché accada
altrettanto in altre 100 città e cittadine d'Italia" avrebbe messo in luce
la più grande riserva di crescita del nostro Paese. Noi potremmo avere un
export competitivo quanto quello tedesco ed un incoming molto più forte.
Non
è negativo evitare di deprimere troppo i consumi in una fase di crisi, ma
occorre comprenderne le dinamiche sociali.
Oggi
esistono certamente single o coppie senza figli benestanti, con un discreto
lavoro, con qualche proprietà immobiliare ed un po' di liquidità lasciate dai
genitori, che possono frequentare ristoranti e locali più volte la settimana.
Ma il numero dei senzatetto di Bologna - tanto per fare un esempio - è
raddoppiato nell'ultimo anno. Le famiglie della classe media con figli e
reddito fisso hanno tagliato le vacanze invernali e riducono ad una settimana
quelle estive; difficilmente li vedrete al ristorante. I nostri pensionati non
sono quelli della Florida.
Stiamo
rapidamente consumando risorse accumulate in decenni ed il risparmio delle
famiglie - ancora significativo - fa il paio con un indebitamento delle
medesime in rapida crescita. Senza contare gli effetti di un'inevitabile
contrazione del welfare, che porterà ad utilizzare i risparmi (di chi li ha) a
sostegno del reddito nei periodi di malattia, disoccupazione o pensionamento.
Se
uniamo questo quadro al crescente esodo dei giovani più istruiti e brillanti,
non compensato da altrettanti "acquisti" di cervelli, abbiamo la
rappresentazione di un Paese nel quale le differenze sociali si accentuano, la
classe media e le famiglie si assottigliano e la ricchezza accumulata si
consuma rapidamente. Chi dispone di risorse liquide o di aziende sta
rapidamente perdendo la fiducia e tenderà sempre di più ad investire
all'estero. Abbiamo già visto questo scenario, specialmente in Sud
America, ma anche nel Portogallo post-coloniale. Se non interveniamo
immediatamente, ci attende un futuro fatto di pochi giovani disoccupati o
sotto-occupati, diversi milioni di immigrati per i quali l'ascensore sociale
non partirà mai, un grande numero di anziani con forti attese di welfare e
bassi redditi, una classe media svuotata ed un nucleo sempre più ristretto di
ricchi che, per quanto frequenti i ristoranti, non sarà in grado di sostenere
l'attuale livello complessivo di consumi. Un cocktail tossico, questo è il concreto
timore dei "mercati".
Non
sentire questa crisi, non percepirne la minaccia epocale è prova del definitivo
distacco del nostro Presidente del Consiglio dalla realtà italiana. Un premier
che parla più forte degli altri perché non vuol sentire.
10 novembre 2011 - LA BOMBA AL
MERCATO
Che
la sua stagione sia finita lo avevano capito tutti. Che ne abbia preso atto in
Parlamento è un segno di rispetto per l'istituzione comunque da apprezzare.
Ma
il modo in cui ha ufficialmente aperto la crisi ha l'effetto di una bomba al
mercato, che colpisce tutti senza distinzioni.
La
bomba esplode in un paese già in grave difficoltà sui mercati finanziari,
crocevia di una guerra dell'Euro che vedrà combattere battaglie decisive nelle
prossime settimane. Il semplice annuncio delle dimissioni, ben sapendo che non
c'è chiarezza né consenso sul percorso successivo, comunica ai mercati che il
nostro Paese affronterà la guerra in condizioni d'incertezza, che a molti
ricorderanno il periodo successivo all'8 settembre 1943.
La bomba ha sì effetti nel campo politico avverso, perché costringerà il PD a
scegliere quali misure appoggiare e toglierà a Di Pietro la ragione fondante
della sua presenza politica, ma soprattutto esplode in campo amico.
Se
si andrà subito alle elezioni, Berlusconi lascia infatti il centro destra, la
Lega ed i moderati in generale alle loro divisioni, paure e ripicche, troncando
sul nascere ogni possibilità di mettere a fattor comune ciò che in profondità
li dovrebbe unire. Rischia di trasformare il PdL in una Repubblica di Salò.
Rischia
di lasciare senza guida proprio le truppe moderate che servirebbero nella
guerra dell'Euro: quelle in grado di accettare i sacrifici e riacquistare la
fiducia.
Occorre dare modo agli schieramenti di riorganizzarsi secondo schemi politici
finalmente leggibili anche fuori dall'Italia e nel frattempo guidare con
sicurezza il Paese nella guerra dell'Euro. Berlusconi è ancora in tempo per
disinnescare gli ultimi stadi della bomba.
1 dicembre 2011 – TRA SCILLA e
CARIDDI
Dopo
alcuni mesi di navigazione difficilissima, che hanno causato alla nave Italia
danni chiaramente visibili, il nuovo Comandante Monti ha ora la responsabilità
di oltrepassare lo stretto più pericoloso. L'Unione Europea e l'Euro seguono
trepidanti la rotta, perché insieme all'Italia affonderebbero anche loro.
Da
un lato c'è Scilla, il gorgo della politica monetaria espansiva e
dell'inflazione, lo strumento in apparenza più semplice per allentare la
tensione sul debito, quello utilizzato dagli USA. Prevede una BCE che acquista
in modo illimitato il debito sovrano dei paesi Euro sotto pressione dei tassi,
stampando di fatto moneta.
In
breve tempo tutti i tassi nominali dell'Eurozona aumenterebbero, l'Euro si
deprezzerebbe e con esso il debito pubblico. La Germania, costretta ad una
politica inflattiva, potrebbe decidere di uscire dall'Euro e qualche Stato la
seguirebbe, adottando il SuperMarco. Oppure potrebbe costringere ai paesi più
deboli di uscire e ritornare alle valute nazionali. Non esistono i meccanismi
per gestire la spaccatura dell'Euro ed i danni sono difficilmente calcolabili
ma inevitabili, come sempre nelle situazioni d'incertezza.
Dall'altro
lato c'è Cariddi, il mostro recessivo alimentato dalla politica di austerità,
che per ottenere risultati a breve taglia la spesa ed aumenta le tasse,
deprimendo l'economia e rischiando una spirale nella quale i redditi
diminuiscono ed il debito pubblico non scende. La Germania sostiene che loro
sono riusciti ad evitare questa spirale, ora tocca a noi fare altrettanto. Ma se
oltre a greci si ribellassero alla cura teutonica i cittadini italiani e
poi gli spagnoli e infine i francesi, chi avrebbe la forza di governare la
situazione? Anche in questo caso si assisterebbe ad un'implosione dell'Eurozona
e della UE.
Se
l'Europa unita avesse scelto per tempo, diciamo un paio d'anni fa, una delle
due vie, ora non avrebbero ora le sembianze dei due mostri
mitologici. Oggi invece Monti è chiamato a navigare nel mezzo, con una
nave che ha vele ancora potenti, ma uno scafo piuttosto malandato.
Le
misure del suo governo non devono apparire soltanto i mezzi per quadrare i
prossimi bilanci, ma rappresentare un modello di riforma che ogni paese europeo
in difficoltà può e deve adottare. Un modello che alleggerisce lo Stato, chiede
sacrifici a tutti indistintamente e consente all'economia privata di ripartire,
facendo crescere i redditi reali da lavoro e l'occupazione.
Per
poter navigare al centro del terribile stretto le misure di rigore devono
essere accompagnate da una politica monetaria comunque espansiva, pur evitando
i temuti eccessi in stile FED.
Il
passaggio senza naufragare dipenderà anche dal fatto che la manovra del 5
dicembre sia percepita come dura ma giusta, che colpisca tutti gli italiani ed
in particolare coloro che negli anni passati sono rimasti indenni dai
sacrifici. Più le soluzioni tenderanno a rendere omogenee le regole
nell'Eurozona, più sarà possibile guidare l'economia continentale fuori dalle
secche e creare nei prossimi mesi istituzioni europee più solide.
Ma
oltre a Scilla e Cariddi il Comandante Monti dovrà evitare il pericoloso canto
delle infinite Sirene che gli chiedono di alleggerire, di spostare, di rinviare
i provvedimenti. Quelli che dicono che tanto, come sempre, ce la caveremo. Lui
e i suoi marinai si leghino all'albero e si tappino le orecchie - come fece
Ulisse - e vadano avanti, senza ascoltare nessuno.