12 novembre 2011
Introduzione al tema congressuale SOSTENIBILITA' e CRESCITA
Cari colleghi,
trattare temi macro-economici,
sociali ed ampi come “Sostenibilità e Crescita” non fa parte del DNA della
nostra Organizzazione.
Non mancano certamente le opinioni
e le sensibilità individuali, ma è molto difficile tradurle in una visione e in
piani d’azione concreti.
In una delle mie prime Assemblee
Federali qualcuno mi disse: - Vedi, noi rappresentiamo
persone molto concrete, molto esigenti nella richiesta di servizi, attente al
proprio interesse. Non ci sono molti filosofi, economisti e sociologi in questa
sala. –
Oggi tuttavia abbiamo di fronte
sfide alle quali non possiamo sottrarci. Il nostro lavoro, il nostro ruolo
nella società, i modelli culturali ai quali ci ispiriamo, rischiano di
scomparire o di trasformarsi al punto tale da non essere più riconoscibili.
Non esistono manager senza la
crescita economica, ci sono solo i liquidatori.
E la crescita materiale, quella
che ha trainato la nostra civiltà negli ultimi due secoli ed è tuttora il
motore dello sviluppo nei paesi emergenti, ha quasi raggiunto il tetto nei
paesi di meno recente sviluppo.
Questa è una sfida mai affrontata
prima d’ora: i cicli economici si alternavano, mai si era verificato un periodo
di sviluppo materiale così lungo da mettere in crisi le aspettative di
ulteriore crescita e generare dubbi sulla sostenibilità dei consumi di materie
prime.
Non possiamo fare finta che sfida
di tale non ci riguardi, né che sia troppo grande e complessa per le nostre
forze.
Non possiamo neppure rassegnarci alla decrescita (che è l’unica ricetta al
momento resa disponibile da economisti e sociologi per far ripartire la
crescita materiale), né illuderci che un
generico benessere o il rifugio in illusioni immateriali impalpabili ci
consentano di galleggiare all’infinito.
Il volto truce che si nasconde dietro queste illusioni ci scruta ormai
con intensità: ha la forma dell’indebitamento delle famiglie, nei paesi
anglosassoni, e di quello statale in quelli latini. E’ il “two
minutes warning”:
la partita, con le regole che abbiamo conosciuto, sta per finire.
Se nel mondo della crescita
materiale la crescita della ricchezza avviene tramite lo scambio (la vendita)
dei beni e dei servizi ed il sistema sociale su questo schema si è modellato,
nel mondo del benessere materiale diffuso la ricchezza si moltiplica con
la condivisione. Non posso realmente “cedere” una notizia, un’esperienza, un’opera d’arte,
una tecnologia. Devo condividerla, goderla ed utilizzarla insieme ad altre
persone perché assuma valore. Solo condividendo la crescita globale, che è
impetuosa ed ha ancora enormi spazi negli altri continenti, potremo rendere
sostenibile la nostra società.
Solo condividendo responsabilmente
le risorse scarse e pianificandone globalmente la sostituzione potremo evitare
conflitti sempre più sanguinosi e distruttivi, nei quali la sopravvivenza
avviene a spese degli altri.
Il tempo che abbiamo dedicato nei
precongressi e qui in congresso a riflettere su questi grandi temi, non è
sprecato. Se altri attori sociali possono permettersi di vivere alla giornata,
a noi, chiamati ad essere guida delle nostre aziende, delle nostre famiglie e
(auspicabilmente) del nostro paese, occorre una visione, una direzione a cui
tendere.
E qui, in assenza di nuovi grandi
modelli economici e sociali il nostro pragmatismo e la nostra concretezza
ritornano ad essere preziosi.
In una società che oscilla tra sogno e depressione noi dobbiamo portare
speranza e concretezza.
Come facciamo ogni giorno nelle
nostre aziende, anche in questo ambito dobbiamo assumerci delle responsabilità.
Ne individuerò tre, in particolare:
La prima responsabilità è quella di indicare le aree, i settori, gli
ambiti in cui ancora è possibile la crescita. Anche nel nostro paese, apparentemente condannato a
galleggiare, abbiamo ancora importanti “riserve” di crescita: nei nostri
precongressi abbiamo individuato il turismo, l’alimentare di qualità, le tecnologie
di rete, le energie rinnovabili ed i servizi connessi. Abbiamo il dovere di
orientare la crescita in queste direzioni, chiedendo ad alta voce che vengano
concentrate le risorse ed eliminati i vincoli, alleandoci con chi condivide
queste priorità.
La seconda responsabilità è condividere la crescita, sia a livello globale
attraverso modelli che favoriscano l’emersione dalla povertà, sia nel nostro
paese ripensando il modello di welfare secondo principi di equità
intergenerazionale. Tutto il mondo ha bisogno di maggiore cultura manageriale, di programmazione
rigorosa e di gestione dei cambiamenti. Non possiamo arroccarci nei privilegi,
anche quando derivano da comportamenti virtuosi e scelte lungimiranti.
La terza
responsabilità è quella di gestire la nostra Organizzazione
con le medesime logiche di sostenibilità e crescita, domandandoci se il modello attuale può durare
all’infinito, se il rapporto tra dirigenti attivi e pensionati è destinato a
rimanere costante per esempio. E già conoscete alcune risposte.
Manageritalia
ha già raccolto queste sfide e non si rassegna a giocare soltanto in difesa.
Se nell’arco degli oltre
sessant’anni siamo cresciuti raccogliendo un numero sempre maggiore di
iscritti, aprendo nuove sedi, erogando nuovi servizi, modificando considerevolmente
il modo di interpretare la rappresentanza, significa che abbiamo la capacità di
guardare al futuro.
Se siamo considerati dai
nostri associati piuttosto bravi nel realizzare ed erogare servizi è
perché abbiamo sempre creduto nel
rapporto tra crescita economica e welfare. La spesa per il welfare,
correttamente gestita, è per noi un investimento sociale ed il welfare è
fattore di sviluppo economico.
Ma le nuove sfide non ci
consentono di ragionare soltanto in termini di servizi da erogare: il nuovo
valore da estrarre sta appunto nella condivisione.
Per continuare ad esistere e per essere riconosciuti come una
componente sociale di crescente rilevanza occorre rendere evidenti la qualità,
il merito e la professionalità dei nostri associati. E non si tratta solo di
aiutarli a sviluppare queste caratteristiche, come già facciamo con CFMT e
Cibiesse, devono esserne consapevoli, motivati a migliorarle e capaci di
promuoverle.
Dobbiamo quindi investire
di più nella valutazione, nella certificazione e nella riconoscibilità di
qualità e competenze, perché questo è il nostro “marchio di fabbrica”. Con
YouManager abbiamo iniziato un percorso, che dovrà proseguire ed
intensificarsi, fino a rendere il “check-up” delle competenze qualcosa di
regolare come quello fisico.
Ma sono investimenti che
portano frutti solo se condivisi da un largo numero dei nostri associati,
ognuno è allo stesso tempo fruitore e produttore.
Negli
interventi che seguiranno saranno probabilmente numerosi i richiami ad
un’azione maggiormente efficace nei confronti della società, dei media, dei
poteri politici ed economici. E qualcuno sottolineerà come occorra imparare a
“narrarci” in modo diverso. Mai in ogni caso la cifra della nostra
comunicazione non potrà prescindere da una conoscenza del mondo del lavoro
manageriale oggettiva, fattuale, basata sui dati. Per sistematizzare la
raccolta di dati, nel 2008 abbiamo dato
vita a un Osservatorio Manageriale, per fornire in modo strutturato e regolare
dati e trend in atto sull’universo dei manager.
Avete visto in questi
anni quanto queste ricerche hanno acquistato sempre maggiore visibilità sulla
stampa. Anche i legislatori ci hanno chiesto più volte direttamente
informazioni e dati sulla categoria. Possiamo dire di aver conquistato nel
tempo quell’autorevolezza che ci ha fatto diventare interlocutori rilevanti. Il
nostro modo di fare lobbying è questo, non è quello dei faccendieri.
Abbiamo già parlato di
rappresentanza della dirigenza pubblica e privata nella neo-nata Costituente
Manageriale, un salto di qualità importante nel rafforzamento dell’azione
futura a tutela delle categorie rappresentate.
Questo deve anche essere
lo strumento principale per rappresentare tutto il mondo delle alte
professionalità, inclusi i quadri e i
professional.
E’ del tutto evidente
infatti che il concetto di sostenibilità per la nostra Organizzazione passa
attraverso il riconoscimento di un cambiamento ormai ampiamente avvenuto: la
carriera non si sviluppa più in modo lineare, ma secondo percorsi fluidi, che
prevedono il passaggio attraverso ruoli diversi in età e periodi diversi. Al
centro del nostro sistema non potrà quindi più esserci il solo dirigente “per
ruolo”, ma il manager come persona, allevato, aiutato a crescere e seguito per
il periodo più lungo possibile.
Questa è la vera sfida della bilateralità: uscire dalle gabbie della
contrapposizione sul rinnovo contrattuale ed agire insieme per far crescere e
valorizzare i “talenti”. Quelle professionalità senza le quali nessuna azienda
può pensare di crescere e prosperare in modo sostenibile e continuativo.
Anche su questo punto i
colleghi che seguiranno propongono idee interessanti: dal “personal caring”, a
campagne di comunicazione e reclutamento mirate ai “talenti”, al raccordo
istituzionale con il mondo della ricerca universitaria.
Il punto di partenza è come
sempre il contratto: il successo dell’innovativo istituto dei dirigenti di
prima nomina (DPN), nato per tentare di contrastare l’allarmante regresso della
crescita di nuova managerialità nel Paese, l’instabilità lavorativa e la
difficoltà di rientro nel lavoro dei fuoriusciti sopra una certa età, ci ha
suggerito di rendere le agevolazioni permanenti e di potenziarle ulteriormente.
Anche se siamo convinti che il welfare non sia un costo, ma un investimento in tranquillità
e fiducia condiviso tra manager ed azienda, non vogliamo prestare il fianco a
chi accusa il nostro contratto di essere troppo “oneroso”.
Nell’ultimo rinnovo
contrattuale è stata quindi introdotta la possibilità di applicare la normativa
relativa ai DPN alla figura professionale del temporary manager, includendo le
professionalità operanti all’interno di reti di imprese. L’agevolazione contributiva può essere
concordata anche nel caso in cui il dirigente non abbia i requisiti previsti
per i DPN, ma per un periodo corrispondente al 50% della durata del contratto,
fino ad un massimo di un anno.
Nel suo complesso, il
contratto collettivo recentemente rinnovato è un esempio di realismo e
sostenibilità.
Ad ogni rinnovo contrattuale le difficoltà nella
negoziazione sembrano aumentare, questa volta il contesto economico-sociale è
stato particolarmente sfavorevole. Dobbiamo inoltre rincorrere riforme
legislative che, mettendo “ordine” sui vari sistemi integrativi di previdenza, assistenza o
assicurativi, ci costringono a riorganizzazioni là dove siamo stati precursori
indiscussi.
Quindi abbiamo affrontato
con coraggio la riforma del Fasdac, nodo centrale di questo rinnovo
contrattuale. Non abbiamo ceduto alla tentazione di rinviare i problemi alle
generazioni future, le parti hanno concordato un piano di riordino del Fasdac
allo scopo di garantire la tenuta finanziaria del Fondo nel medio – lungo
termine, avendo cura di non penalizzare il livello delle prestazioni.
La misura stabilita,
certo impopolare, ma risolutiva, è stata quella di rivedere la contribuzione a
carico dei dirigenti pensionati e superstiti, per garantire definitivamente
l’equilibrio della gestione, attualmente in sofferenza. Non abbiamo tuttavia rinunciato
ai principi di solidarietà, non solo di tipo economico (i costi dei prodotti
assicurativi che il mercato propone agli ultra 50enni sono ben diversi), ma
soprattutto di garanzia di assistenza senza vincoli di età e di condizioni di
salute.
Adesso ascoltiamo le relazioni di sintesi delle cinque
aree territoriali sul tema. Nel dibattito poi ciascuno di voi potrà intervenire
per modificare, migliorare, implementare quanto sarà emerso.
Buon lavoro a tutti noi!
Nessun commento:
Posta un commento