Secondo Tito Boeri e
Pietro Garibaldi la riforma del lavoro – nella versione fino ad ora
proposta dal governo – ha pochi pregi e molti difetti. Secondo loro lascia tutto come sta e addirittura aggrava i problemi, tanto da definirla "La riforma del Principe di Salina".
E’ sempre difficile valutare a priori l’efficacia di una
riforma, in particolar modo in Italia, paese nel quale le migliori intenzioni
si infrangono spesso contro mille furbizie, circolari ministeriali confuse e
contraddittorie, tribunali lenti e con orientamenti contrastanti.
Io vedo però nell'impostazione più pregi che difetti, o almeno credo che i
difetti segnalati nell’articolo in buona parte non siano tali.
LA “ROULETTE RUSSA” DEL LICENZIAMENTO
Oggi la roulette russa (per l’azienda e per il lavoratore) è
dovuta al problema del reintegro o meno. Forte deterrente al licenziamento, ma
anche grande limite al raggiungimento di un accordo economico. Che tuttavia
chiude la partita nella grandissima maggioranza dei casi, poiché i lunghi tempi
del giudizio non consentono di fatto il reintegro. Con la riforma la
discussione si sposta sull’entità dell’indennizzo, salvo i rari casi di
licenziamento discriminatorio. Che – per inciso – dovrebbero diminuire
notevolmente, almeno per le aziende che vogliono tutelare la propria immagine,
posto che un provvedimento di reintegro equivarrebbe a riconoscere proprio
l’esistenza di un comportamento discriminatorio, mentre oggi può avvenire per
molte ragioni.
Non è neppure vero che il licenziamento economico e
disciplinare sono assimilabili: il primo scatta in presenza di reiterati
comportamenti contrari a quanto stabilito dai contratti e non semplicemente se
“uno lavora male”. Gli avvertimenti (i “richiami”) mettono in guardia il
lavoratore di una situazione che può facilmente degenerare e gli consentono di
prepararsi la difesa nel caso in cui riconosca in ciò un comportamento
discriminatorio. Il confine tra “disciplinare” e “discriminatorio” può infatti
essere più labile, nella comune esperienza aziendale.
La maggior parte delle imprese, potendo licenziare con
motivazioni economiche, lo farà senza sotterfugi, contrattando l’indennizzo con
sindacati che si dovranno attrezzare a difendere al meglio le ragioni dei
lavoratori.
L’esempio dei dirigenti – pur con le dovute differenze –
dovrebbe aiutare a comprendere che raramente c’è forte interesse delle parti ad
avviare e proseguire una controversia in tribunale, è molto più semplice e meno
oneroso contrattare un buon indennizzo, grazie a contratti collettivi chiari e
solidi.
Dopo una fase iniziale, nella quale è anche possibile che
aumenti il ricorso ai tribunali, i parametri di riferimento si consolideranno e
costituiranno un riferimento di fatto per gli accordi transattivi.
IL “MANCATO RIORDINO” DEGLI AMMORTIZZATORI
Mi pare che anche qui si sottovaluti la portata del
cambiamento. Rimangono ammortizzatori specifici, tra i quali anche la CIGS , necessaria per la
gestione di situazioni particolari come le amministrazioni straordinarie ed in
generale le ristrutturazioni previste dalla legge fallimentare. L’importante è
che non si estenda oltre questi confini e non si applichi nei casi in cui l'azienda è irreversibilmente avviata alla chiusura.
L’integrazione dei salari di alcune categorie di lavoratori
stagionali meriterebbe certamente interventi, ma non mi pare che possa essere
del tutto eliminata.
Paragonare poi la
CIG in deroga con i fondi bilaterali di settore (fondo
solidarietà e fondo esodi) mi pare fuorviante: la via scelta dà invece nuova
linfa alla sussidiarietà operata attraverso il contributo bilaterale,
restituendo alle parti sociali libertà, flessibilità e controllo delle risorse.
Le quali sono certamente scarse in tempo di crisi, ma
l’alternativa sarebbe attendere il ritorno delle vacche grasse ? Potrebbe
avvenire tra molti anni, è bene affrontare subito la realtà, aiuta a fare
sacrifici da entrambe le parti.
IL DUALISMO “PRECARI / NON PRECARI”
Sul punto la riforma appare in effetti un po’ timida. Siamo
sinceri: nelle aziende si fanno continuamente progetti, ai quali partecipano
lavoratori dipendenti e consulenti. Chi lavora con logiche progettuali o per
commesse specifiche, finito un progetto ne inizia un altro. Il “collaboratore a
progetto” non ha molto senso di esistere: se è un giovane con poca esperienza
può essere assunto come dipendente a termine, magari per lavorare su di un
progetto, e poi riconfermato o meno, per lavorare sugli sviluppi del progetto o
altrove. Se è un consulente i casi sono due: o è un professionista iscritto ad
un ordine / con competenze certificate (es. un manager trasformato in
professionista) oppure lavora per una società di consulenza. La riforma limita
ancora troppo poco il ricorso ai contratti di collaborazione ed in effetti
l’aumento contributivo rischia di penalizzare soltanto il netto del lavoratore.
Ma la soluzione non è dare gli ammortizzatori anche a queste figure, è ridurre quasi
a zero l’area di applicazione di questi contratti, che presentano evidenti
ambiguità.
I MECCANISMI DI ENTRATA (E DI RIENTRO)
L’apprendistato può funzionare per i giovani: grazie agli
sgravi contributivi ma anche attraverso una vera formazione (che rappresenta un
investimento di tempo non trascurabile per l’azienda, se correttamente
effettuato).
Appare debole invece il capitolo dei meccanismi di re-ingresso e
di mantenimento al lavoro in età avanzata, ovvero sui temi che più toccano i
lavoratori over 50. Occorrerà lavorare con logiche simili (formazione + sgravi
contributivi), prima che la scomparsa dell’istituto della mobilità penalizzi
ulteriormente queste categorie.
Questa è l'area della riforma che appare meno approfondita, un po' allo stato grezzo: senza strumenti efficaci per la riqualificazione, senza creare concrete possibilità di ricollocazione e, diciamolo chiaramente, senza meccanismi di reale stimolo alla ricerca di un nuovo lavoro, quelli dell'Aspi (indennità di disoccupazione) saranno soldi spesi male e non saranno mai sufficienti.
In conclusione: la coperta
è corta, la prudenza e la gradualità della riforma sono forse eccessive. Ma
sembra essere un passo avanti notevole verso la razionalizzazione di un sistema
pieno di ingiustizie ed ormai incomprensibile ad investitori e lavoratori. Il mio auspicio è che si parli meno di articolo 18 e ci si concentri maggiormente augli altri punti ancora da migliorare.
Voi cosa ne pensate?